Statine: efficacia indiscussa, aderenza compromessa
Le statine rappresentano ancora oggi il punto di riferimento nella gestione dell’ipercolesterolemia. Agiscono inibendo l’HMG-CoA reduttasi, l’enzima chiave nella sintesi epatica del colesterolo, e sono ampiamente raccomandate per la prevenzione cardiovascolare, sia primaria che secondaria.
Studi clinici hanno dimostrato riduzioni del colesterolo LDL del 30-50%, associate a una diminuzione significativa della mortalità per infarto e altri eventi cardiovascolari maggiori.
Nonostante la loro efficacia, uno dei principali limiti delle statine è l’aderenza alla terapia: oltre la metà dei pazienti interrompe il trattamento entro 3-6 mesi.
Tra le cause principali troviamo l’insorgenza di effetti collaterali, in particolare dolori muscolari (mialgie, miopatie), e, in misura minore, un rischio aumentato di sviluppare diabete di tipo 2, soprattutto in soggetti predisposti.
Anche se molti di questi eventi sono sovrastimati o riconducibili all’effetto nocebo, l’intolleranza reale, pur riguardando una percentuale limitata della popolazione, può compromettere significativamente l’efficacia delle strategie di prevenzione cardiovascolare.
Oltre le statine: l’urgenza di trattamenti alternativi
La crescente consapevolezza dei limiti di tollerabilità delle statine ha portato allo sviluppo di nuove terapie ipocolesterolemizzanti.
L’obiettivo non è solo la riduzione del colesterolo LDL, ma anche il contenimento del rischio cardiovascolare complessivo.
Per i pazienti ad alto o altissimo rischio, il mancato raggiungimento dei target lipidici rappresenta una grave lacuna nella prevenzione delle complicanze ischemiche.
L’approccio moderno supera il dogma delle “statine ad alta intensità” in favore di una “terapia intensiva combinata”, dove l’effetto ipocolesterolemizzante viene raggiunto con più meccanismi d’azione complementari.
Tra le alternative oggi disponibili troviamo ezetimibe, gli inibitori della PCSK9 (anticorpi monoclonali e siRNA), e l’acido bempedoico, ciascuno con caratteristiche specifiche in termini di efficacia, tollerabilità e modalità di somministrazione.
Ezetimibe: l’opzione di prima linea nei pazienti intolleranti
L’ezetimibe è il primo farmaco ipocolesterolemizzante approvato con un meccanismo d’azione diverso dalle statine: inibisce l’assorbimento intestinale del colesterolo attraverso la proteina NPC1L1.
In monoterapia, consente una riduzione del colesterolo LDL di circa il 18-20%, che può essere potenziata fino al 35-40% se associato ad altre molecole come l’acido bempedoico.
L’ezetimibe ha un profilo di tollerabilità eccellente, con pochi effetti collaterali e un basso rischio di interazioni farmacologiche.
Gli studi IMPROVE-IT e RACING hanno confermato la sua efficacia anche in prevenzione secondaria, con risultati sovrapponibili alle statine ad alta intensità in termini di eventi cardiovascolari, ma con una migliore accettabilità da parte dei pazienti.
Anticorpi monoclonali anti-PCSK9: evolocumab e alirocumab
Evolocumab e alirocumab sono anticorpi monoclonali che bloccano la proteina PCSK9, responsabile della degradazione dei recettori LDL.
La loro azione incrementa la rimozione di colesterolo LDL dal circolo, ottenendo riduzioni fino al 60%.
Sono somministrati per via sottocutanea ogni 2-4 settimane e sono indicati sia in combinazione con statine che in monoterapia nei pazienti intolleranti.
I principali studi clinici (FOURIER, ODYSSEY) hanno dimostrato che l’uso di questi farmaci riduce significativamente l’incidenza di infarto miocardico, ictus e rivascolarizzazione, senza incrementare il rischio di diabete o miopatie.
Il limite principale rimane il costo e la necessità di somministrazione parenterale, ma il profilo di efficacia li rende una risorsa imprescindibile per i casi più complessi.
Inclisiran: silenziamento genico con somministrazione semestrale
Inclisiran è una novità assoluta: si tratta di un siRNA che agisce a livello epatico bloccando la sintesi della PCSK9. Una singola somministrazione sottocutanea determina un effetto ipocolesterolemizzante prolungato per circa sei mesi.
Il meccanismo di azione, diverso dagli anticorpi monoclonali, permette una gestione più semplice dell’aderenza, grazie alla somministrazione semestrale.
Gli studi ORION hanno dimostrato una riduzione del colesterolo LDL di circa il 50-55% con ottima tollerabilità e scarsi effetti collaterali, limitati a reazioni locali nel sito di iniezione. L’efficacia cardiovascolare a lungo termine è ancora in fase di studio, ma i risultati preliminari sono promettenti.
Acido bempedoico: selettività epatica e basso rischio muscolare
L’acido bempedoico è un inibitore dell’enzima ACLY, che agisce a monte della via metabolica delle statine. Una delle sue principali caratteristiche è l’attivazione selettiva solo a livello epatico, evitando così effetti indesiderati sui muscoli.
Per questo motivo è particolarmente indicato nei pazienti che hanno sviluppato miopatie da statine. In monoterapia riduce il colesterolo LDL del 20-25%, e in combinazione con ezetimibe raggiunge riduzioni fino al 40%.
I dati dello studio CLEAR Outcomes ne confermano la sicurezza anche nei pazienti con prediabete, senza aumento significativo dei nuovi casi di diabete. Da monitorare, tuttavia, i livelli di acido urico, per il possibile rischio di attacchi di gotta.
Identificare la vera intolleranza alle statine
Non tutti i casi di presunta intolleranza alle statine sono reali. La percezione di effetti collaterali può essere influenzata da aspettative negative (effetto nocebo) e portare all’abbandono precoce della terapia.
La Statin Muscle Task Force ha proposto un indice clinico (SAMS-CI) per valutare in modo oggettivo i sintomi muscolari associati alle statine e distinguere i casi probabili da quelli improbabili.
Una valutazione attenta del paziente, accompagnata da una comunicazione chiara sui benefici e sui reali rischi delle statine, può migliorare significativamente l’aderenza al trattamento e ridurre le sospensioni non necessarie.
Personalizzare la terapia: un approccio su misura
Nel trattamento delle dislipidemie, soprattutto nei pazienti ad alto rischio, non esiste una soluzione unica.
L’approccio terapeutico deve essere personalizzato, partendo dalla tollerabilità individuale e integrando farmaci con meccanismi d’azione diversi.
Le combinazioni tra ezetimibe, acido bempedoico e inibitori della PCSK9 permettono di raggiungere riduzioni del colesterolo LDL fino all’85%, anche in assenza di statine.
La disponibilità di queste opzioni offre al farmacista un ruolo chiave nell’educazione terapeutica del paziente, nell’aderenza e nella gestione degli effetti collaterali, contribuendo a un miglior controllo del rischio cardiovascolare.
I contenuti di questo articolo sono basati sulla lezione “Terapie ipocolesterolemizzanti per il trattamento di pazienti intolleranti alle statine”, del Prof. Nicola Ferri, farmacologo clinico e docente presso l’Università degli Studi di Padova. Il materiale originale fa parte del Percorso Formativo ECM di Professione Farmacia. I contenuti sono utilizzati con finalità divulgative e restano di proprietà dei rispettivi autori.
Vuoi approfondire le tue conoscenze su questo argometo? ACQUISTA SUBITO la lezione integrale.